“Ti
regalo un soffio di vento leggero come una carezza per farti compagnia,
un paio d’ali di farfalla per volare dove vuoi e un raggio di sole per
scaldarti. Ti regalo una nuvola da corsa, un sogno gonfio di gioia, una
scatola piena di risate. Ti regalo una barzelletta”. La nonna mi guarda
e sorride. Ma i suoi occhi sono tristi.Sto cercando per lei un dono
speciale. Il dono più bello del mondo. È una gran fatica, perché non
posso cercarlo nei negozi. Lei non vuole niente che si possa comprare.
“Grazie Sara, ma sono troppo vecchia per i regali, ho già tutto quello
che mi serve”. Mi ha detto proprio così, quando le ho chiesto che cosa
potevo portarle. Ora vado ogni giorno a trovarla in ospedale. Deve
restare lì perché purtroppo sta male. E non potrà tornare a casa per
Natale. La nonna Giulia è molto vecchia: il suo viso sembra di carta
velina, con rughe sottili, come disegnate a penna. Sono i segni che le
ha lasciato il tempo sulla pelle. Mi è sempre piaciuto stare con lei,
fin da quando ero molto piccola. È sempre stata la mia nonna preferita.
Quando vado a trovarla mi abbraccia forte e mi dice che sono il suo
tesoro. Poi va a cercare nell’armadio qualche dolcetto, e io li mangio
anche se non vorrei, perché fanno ingrassare. Mi piace ascoltare i
ricordi di quando lei era giovane e guardare le vecchie fotografie.
Com’era buffa la mamma da bambina! E mi diverto tanto quando accende il
suo vecchio giradischi e insieme ascoltiamo gli attori che raccontano le
favole. Non ce l’ha più nessuno un giradischi così, solo la nonna! Le
piace anche giocare a carte e per fortuna non si accorge che ogni tanto
la lascio vincere per farle piacere. “Come sei fortunata nonna!” le dico
sempre, e lei è contenta. Spesso usciamo a fare una passeggiata. Nonna
Giulia cammina piano perché le sue gambe sono stanche, e si appoggia un
po’ a me. Mi sono abituata a stare al suo passo per non costringerla a
fare fatica. Quando arriviamo in centro guardiamo insieme le vetrine,
poi ci fermiamo in un bar e mangiamo un gelato (se è estate) oppure una
fetta di torta con la cioccolata calda (se è inverno) e chiacchieriamo.
Le racconto tante cose: lei sa consolarmi quando sono triste e
consigliarmi quando sono indecisa. La nonna è antica e il suo corpo è
fragile, ma il suo spirito è forte: è come una grande quercia che regge
tutti i rami della nostra famiglia. Nonno Massimo non c’è più da tanti
anni. Io non l’ho mai conosciuto, è morto prima che nascessi. La nonna
mi ha raccontato che era grande e forte. Era anche buono e gentile il
nonno, e generoso. Questo lo dicono la mia mamma e i suoi fratelli. La
nonna non parla spesso di lui, ma si capisce che le manca. Tiene la sua
foto sul comodino. Ogni tanto parlo col nonno, in silenzio, io e lui da
soli. So che dal cielo ci guarda e gli chiedo sempre di badare un po’
alla nonna adesso che è sola. Ma un brutto giorno forse il nonno in
cielo si è distratto, perché la nonna è caduta. Era a casa da sola e
stava cercando qualcosa che le era caduto sul pavimento. Ma ha perso
l’equilibrio ed è rotolata giù. Si è fatta molto male. Quella mattina la
mamma si è preoccupata perché non rispondeva al telefono. Noi abitiamo
lontani e così non è riuscita subito a correre da lei. Ma è salita in
macchina e ha fatto prima che poteva. Intanto per fortuna è passato di
là un vicino di casa. La porta era aperta e lei era seduta su una sedia
e si lamentava. Non era riuscita nemmeno a chiedere aiuto, perché non
aveva più la forza di alzarsi. Così quel signore è entrato e l’ha
aiutata e ci ha telefonato. Poi l’hanno portata all’ospedale. La mamma
era molto preoccupata. Ed era anche dispiaciuta, perché aveva lasciato
la nonna a casa da sola. Ma quella mattina doveva accompagnarci a
scuola, e il papà era via per lavoro, e anche lei dopo avrebbe dovuto
andare a lavorare. Poi invece è rimasta per tutto il giorno all’ospedale
con la nonna. Verso sera sono andata a trovarla con mio fratello e con
il papà. C’erano anche i miei zii e i miei cugini, ed eravamo tutti
molto tristi. Non abbiamo potuto parlarle, perché era distesa in un
letto in un reparto che si chiama “rianimazione” e dove tutti indossano
camici e mascherine sul viso. Sembrava che dormisse. Aveva un grosso
livido violaceo sul viso, tanti piccoli tubi attaccati alle braccia e un
braccio ingessato. Il papà ci ha spiegato che con i farmaci in tutti
quei tubi cercavano di dare alla nonna tanta forza perché non è uno
scherzo per una persona anziana rimettersi da una caduta. La mamma
cercava di farsi coraggio per non far piangere anche noi. Allora ho
chiuso gli occhi e ho cercato di mandare alla nonna tanti pensieri
felici: “Nonna, torna presto a casa – le ho detto – così possiamo di
nuovo stare insieme e ridere come prima”.
Di sicuro quei pensieri sono riusciti a passare oltre il vetro e oltre
quei tubicini perché il giorno dopo la nonna stava ancora male, ma
l’hanno trasferita in una camera normale, con altri pazienti: una
signora con una gamba rotta che si lamentava sempre e un’altra che
avevano appena operato di appendicite. La nonna però era proprio giù di
morale: “Voglio tornare a casa. Voglio morire a casa mia”. Continuava a
ripetere. “Hai bisogno di cure, devi stare tranquilla” le sussurrava la
mamma, e le accarezzava la mano. Doveva stare a letto per forza, senza
alzarsi in piedi, perché si era rotta anche un osso del bacino, me l’ha
detto il papà, perché la mamma era troppo agitata per parlare. “Nonna,
non preoccuparti, ci sono qui io” le ho detto piano, e la nonna mi ha
sorriso, ma aveva gli occhi tristi. Quando siamo usciti dall’ospedale
era buio e faceva molto freddo. Ho guardato le stelle in cielo e ho
chiamato il nonno: aiutala un po’ tu per favore, io ce la metto tutta,
ma sono piccola, come faccio a farle passare il dolore e la tristezza?
Ho sentito sulla faccia un soffio di vento freddo e ho pensato che forse
il nonno mi ha risposto, e forse mi voleva consolare. Gli alberi erano
tutti senza foglie. Dicono che d’autunno la natura dorme fino a
primavera, quando torna il sole. Anche il mio mondo in quel momento mi
sembrava tutto grigio. La mamma sorride e dice che tutto andrà bene, ma
si dimentica sempre di metterci la merenda nello zaino quando usciamo
per andare a scuola, e poi lascia le cose in giro per casa e non si
ricorda dove le ha messe, prima non succedeva mai. Le magliette da
stirare rimangono impilate nel ripostiglio in un mucchio che diventa
sempre più alto e io non posso più cambiarmi tutti i giorni come sono
abituata. Ma non lo dico alla mamma perché so che ha già abbastanza
problemi per conto suo. E poi forse non sono troppo piccola per imparare
a stirare da sola, ma chi può insegnarmelo?
Sono passati molti giorni, e la nonna ha incominciato a sentirsi un po’
meglio. Non ha più quel brutto livido sul viso e riesce di nuovo a
muovere le dita dentro l’ingessatura del braccio. Dopo tante medicine e
tante cure è riuscita anche a rimettersi di nuovo in piedi, con un po’
di fatica. Ma ho sentito la mamma e gli zii dire che ora non può più
tornare a casa: “Come si fa? È troppo pericoloso lasciarla sola e lei
non vuole nessun aiuto…Dobbiamo trovarle un posto alla casa di riposo…”.
“La nonna non può venire a casa con noi?” ho chiesto io, sottovoce, a
mio padre. “Non può tesoro, la nostra casa è troppo piccola, e voi siete
bambini e fate confusione. La nonna ha le sue abitudini e il suo
carattere, e poi la mamma lavora e deve occuparsi della casa…E voi
dovete studiare, fare i compiti, e giocare con gli amici. Alla fine
starebbe comunque da sola tutto il giorno e non si può, lo capisci? Hai
visto che cos’è successo?”.
Io so che il papà ha ragione ma mi viene lo stesso da piangere pensando
alla mia nonna-quercia, antica e forte, sola in una stanza di una casa
di riposo. Ora capisco che cos’è quell’ombra dietro i suoi occhi quando
sorride.
La nonna ha ricominciato a camminare, e le hanno fatto fare perfino la
cyclette. Lo so che si impegna tanto perché vuole tornare a casa. E
Natale si avvicina.
Così ho incominciato a pensare a un bel regalo da farle. Ci ho pensato
tanto che ho dimenticato di fare i compiti.
“Sara, dov’è il tema che dovevi preparare per oggi?” mi ha chiesto la
maestra. Io sono diventata tutta rossa e non sapevo che cosa rispondere,
perché non me la sentivo di raccontare che cos’era successo a casa
davanti a tutta la classe. Così la maestra mi ha messo una nota sul
diario. “Perché non le hai detto che tua nonna sta male?” mi ha chiesto
dopo Viola, che è la mia migliore amica. “Non lo so, avevo paura di non
riuscire a parlarne davanti a tutti”. Sono stata sincera. Certe cose
sono molto private. Quando ho paura, quando sono stanca, quando sono
triste non ho certo voglia di parlarne con la maestra. Anche la nonna e
tutto il bene che le voglio è una cosa mia. La scuola cosa c’entra? È
già tanto se ne ho parlato a Viola. Ma non le ho detto la cosa più
importante, e cioè che io ho tanta paura: temo che la nonna Giulia perda
la voglia di vivere, temo che mi lasci per sempre, e non posso proprio
sopportare di vederla così triste.
“Sara, che cosa succede?” mi ha chiesto la mamma quando ha visto la nota
sul diario. “Mi dispiace, ma mi sono dimenticata del tema” le ho
risposto, ed ero pronta a scappare via, ma lei mi ha fermato.
“Lo so che sei preoccupata per la nonna, lo sono anch’io – mi ha detto
-, ma vedi, non puoi pensare soltanto a questo e lasciare da parte tutto
il resto”.
“Anche tu ti dimentichi tante cose” le ho detto, ma poi mi sono morsa la
lingua.
“È vero, mi dispiace - ha risposto la mamma -. Ma vedi, non è colpa tua
se la nonna sta male. Non è colpa di nessuno. Tutti le vogliamo molto
bene, e trovarle un posto in una casa di riposo non è un modo di
abbandonarla, ma soltanto di proteggerla, perché qualcuno si prenda cura
di lei per tutto il giorno. La nonna è molto anziana, e non è più forte
come prima. Continueremo ad andare a trovarla e a stare con lei come
facciamo ora, e potrai anche telefonarle, e portarla fuori a passeggiare
se sta abbastanza bene”. Ho ascoltato e ho capito. È tutto giusto, anche
se io mi sento scombussolata come se mi avessero appena tirato fuori da
un frullatore. Sono uscita per prendere un po’ d’aria e mi sono guardata
intorno. Così mi sono accorta che il Natale è davvero vicino, molto più
di quanto pensassi: per strada ci sono gli alberi addobbati, rami di
vischio, luci colorate. Le vetrine sono strapiene di giocattoli e di
vestiti e di tante altre cose tutte in confezione regalo. La gente per
la strada va di fretta, con le mani piene di pacchi e di borse, e
sorride. Il cielo è coperto di nuvole, ma le case e le persone sono
tutte scintillanti di gioia. Ho pensato ancora a nonna Giulia, forte
come una quercia ma dolce come un budino al cioccolato, così generosa ma
anche severa ogni tanto. E adesso anche tanto delicata e preziosa.
“È vero che sono ancora piccola – mi sono detta -, ma lei mi ha aiutato
tante volte e adesso vorrei aiutarla io. Da grande vorrei diventare
proprio come lei”.
E allora mi è venuta un’idea.
Ho preso un foglio e tanti colori, e ho disegnato la mia grande
nonna-albero con tanti piccoli rami e tanti fiori. Poi ho raccolto le
nostre fotografie più belle. E ho messo tutto in un grande album che mi
sono fatta dare dalla mamma. Sotto ogni foto ho scritto una storia, un
aneddoto, un’avventura che riguarda la nostra famiglia. Per rendere
l’album più interessante ho deciso di rivelarle anche qualche segreto,
per esempio di quando ho rotto per sbaglio la bottiglia del suo profumo
preferito e poi ho venduto alle mie amiche metà della mia collezione di
fumetti per ricomprarglielo prima che se ne accorgesse. Poi ho cercato
di mettere in fila i regali e i pensieri più allegri che avevo: “Ti
regalo una carta dorata per vestirti di luce. Un ricciolo d’argento per
arrotolare i ricordi. Un filo di seta per non perdere mai la strada
quando ti allontani, perché voglio che torni sempre da me. Un maggiolino
per ricordarti che dopo l’inverno arriva sempre la primavera. La luce di
una lucciola perché le tue serate non siano mai buie. Scarpette di
cristallo per sentire di nuovo i piedi leggeri, due mani solide che ti
sorreggano per non farti più cadere”.
È vero, il mio album è solo un oggetto: ma dentro ci ho messo tutto il
mio cuore. Basterà? E i miei doni sono un po’ bizzarri: chi comprerebbe
mai delle cose così? Ma a me basta ricevere in cambio un sorriso della
nonna Giulia. Ho ancora un po’ paura. E poi non so se ho trovato davvero
il dono più bello del mondo. Ma la nonna capirà. Tutto quello che sogno
è un Natale felice con lei. Non importa che sia in ospedale. |
“ALZATIPIGRONEPREPARAILPANETTONESVEGLIATITESOROPENSALTUOPANDORO…”.
Quella mattina la strillasveglia di Babbo Natale urlava la solita
allegra canzoncina già da un po’ ma lui, aperto l’occhio destro, si era
accorto di non riuscire ad aprire il sinistro: gli sembrava uno sforzo
gigantesco. Subito dopo aveva tentato di acchiappare il regalo urlante
dei suoi amici folletti però, a quanto pareva, il comodino durante la
notte aveva deciso di farsi un giretto e adesso sembrava lontano come il
rotolo di carta igienica nuovo quando lo cerchi. Ordinò al suo braccio
di alzarsi e alla sua mano di stringere ma nel corso della stessa notte
malefica qualcuno doveva avergli appeso di nascosto due renne in
sovrappeso, o forse tre. A dire il vero gli sembrava che l’intera slitta
carica già di tutti i pacchi e pronta per il Grande Volo Magico fosse
parcheggiata su di lui, affondato nel morbidoso materasso di piuma d’oca
alsaziana e senza possibilità di muovere un muscolo. Che situazione
imbarazzante. Tra l’altro, gli si era messo a prudere il mignolo del
piede sinistro e una mosca ghiacciolina aveva scelto il suo grande naso
come pista d’atterraggio: “E E E E E E E E E E E E t t t t t t tC C C I
I I i i i i i i i ii i U U U U U U U U U!!!!!!”, il rumore fragoroso
dello starnuto echeggiò ed echeggiò nella Valle Nevosa e giunse fino ai
suoi più remoti confini. Proprio in quel momento la Befana dalle Scarpe
Tutte Rotte, che si trovava ancora in ciabatte, stava infornando il suo
famoso pasticcio dolce di funghi svariolati: per lo spavento lo fece
schizzare in aria con la teglia di ghisa, che naturalmente prima di
schiantarsi al suolo le rimbalzò sul cranio. Allora un “AHIAIAHIIAHIAHIIOhiOhiOhiOhiOhiAHIME!!’”
riempì di nuovo la Valle. A quel punto tutti gli abitanti erano fuori
dalle loro case e dai loro rifugi per riversarsi nella strada
principale, Corso Pacchi coi Fiocchi. Ecco che cosa si presentò davanti
ai loro occhi assonnati: a passo di marcia, la Befana passava tra le due
ali di folla incredula affondando nella neve fino al ginocchio e
sbuffando come un toro dalle narici dilatate; in una mano stringeva la
sua inseparabile scopa, nell’altra la teglia di ghisa. Ciò che colpiva
di più l’attenzione era però l’enorme bernoccolo che, facendo capolino
tra i capelli tutti arruffati e il cappellaccio a punta, si era messo a
crescere a vista d’occhio. “Chiunque sia il poverino dal quale è
diretta, non vorrei proprio essere nei suoi panni”, era il pensiero che
frullava nella testa di tutti, che a quella vista decisero all’unanimità
di ritirarsi in silenzio ognuno nella propria abitazione; ognuno in cuor
suo contento di non essere la persona che la Befana furiosa stava…
andando a trovare. “Adesso vedi, Babbo dei miei stivali! Starnutire
senza ritegno e mandare all’aria il mio lavoro di alta pasticceria… solo
perché milioni di bambini lo adorano, crede di essere una star, crede di
poter fare tutto quel che vuole, di passarla sempre liscia! Eh no, caro
mio, adesso facciamo i conti una volta per tutte!”, così diceva a voce
alta la Befana dalle Scarpe Tutte Rotte che naturalmente aveva capito
subito da dove era stato starnutito lo starnuto.
Dovete sapere che la Befana ormai da molti anni covava un certo
risentimento nei confronti di Babbo Natale, e in fondo non è nemmeno
difficile capire il perché: lui grande e grosso, con la candida barba
fluente, sempre allegro e atteso dai bambini di tutto il mondo che non
finivano mai di scrivergli lettere di richieste e di ringraziamenti; lei
rinsecchita, curva, il grande naso con l’immancabile verruca,
spauracchio dei bambini quando le mamme minacciano: “Se non fai il bravo
la Befana ti porterà il carbone!” oppure: “Se non ti lavi le orecchie,
ti porto dalla Befana!”o addirittura canticchiano: “Ninna nanna ninna
oh, questo bimbo a chi lo do lo daremo alla Befana che se lo tenga una
settimana”; lui possedeva una splendida slitta trainata da splendide
renne, lei aveva ereditato dalla prozia Gertrude una scopa di saggina
vecchia come il cucco che perdeva un pezzo a ogni atterraggio.
La Befana era decisa a verificare se la sua vecchia scopa avrebbe retto
allo schianto contro la testa di Babbo Natale, quindi, giunta a
destinazione, spalancò senza chiedere il permesso né bussare la porta
della casa con l’insegna al neon “BABBO NATALE: L’UNICO, L’ORIGINALE"
armata delle peggiori intenzioni, quando accadde l’imprevisto: sul
grande letto a baldacchino giaceva steso un povero vecchio, con una
bruttissima cera e il naso più rosso di quello di Rudolph la renna, e
soprattutto un’insulsa canzoncina tamburellava i timpani gracchiando
“ALZATIPIGRONEPREPARAILPANETTONE….” e il resto che già sapete. Vista, e
sentita, la situazione prima di tutto la Befana si scaraventò sulla
strillasveglia che emise il suo ultimo acuto prima di essere spiaccicata
sotto la teglia di ghisa: “SPATACROK!”; poi si rivolse al vecchio: “Ehi,
tu! Che cosa ci fai nel letto di Babbo? Non dirmi che si è dileguato la
Vigilia di Natale lasciando te al suo posto! Allora, dov’è? Dov’è? E tu
chi sei, eh? Chi sei? Starnutitore a tradimento che non sei altro…oh
oh”. La vecchietta furibonda interruppe le minacciosissime parole
urlate a più non posso non appena si accorse di un dettaglio che prima,
preda della rabbia, non aveva notato: dalla trapunta rossa di piuma
d’oca alsaziana sbucava una mano pallida incorniciata da una manica di
pigiama inconfondibile. Bordo biancopanna ricamato con abeti verdi a
palle di Natale cangianti e stelline alternate a cuoricini tutt’intorno.
Si trattava dell’indumento che la Befana stessa aveva ideato e cucito
per Babbo tant’anni prima, quando ancora loro due non solo erano amici,
ma si frequentavano invitandosi a pranzi e cene, prenotando insieme le
vacanze e, appunto, scambiandosi doni sdolcinevoli e frillazzi. Quella
volta, lei aveva ricevuto un kit con chiavi a brugola per la
manutenzione della scopa. A quel ricordo, una lacrimuccia le scivolò giù
per la guancia rugosa. “Per tutte le saggine – bisbigliò tra sé e sé-
vuoi vedere che il catorcio sul lettone è il mio amic, cioè nemico
namber uan? Guarda un po’ come si è ridotto…”. Il povero Babbo, che fino
a quel momento aveva dovuto assistere impotente alla distruzione per
schiacciamento della sua unica e adorata strillasveglia, a un’urlata
istericoide, nonché reggere la vista della Befana sbraitante
atuttospiano, finalmente raccolse ogni energia residua e con un
sottilissimo filo di voce riuscì a dire: “….vai……viaaa….”. La Befana,
che l’età aveva resa un po’ dura d’orecchi, credette che quel soffio
nascondesse le ultime parole di Babbo Natale e così, commossa, gli si
avvicinò e delicatamente orientò la testa in modo che il padiglione
auricolare sfiorasse le labbra del suo vecchio amico, che allora sibilò
: “….brutta be..fa…na, se non…. esci… ti faccio…. il naso a…. patata…com..pre….sa..la..ver..ru…caaa..aaa…”.
Non passò mezzo secondo da che fosse pronunciata l’ultima sillaba, che
una delle Due Scarpe Tutte Rotte attraversò la stanza come un superjet
ultrasonico a propulsione atomica, sfiorando la barba di Babbo, bucando
il guanciale immacolato e finendo incastrata nella parete dietro al
letto, sotto il poster della Polisportiva Folletti & Co. Come una
giovane ninja, la Befana aveva eseguito un perfetto salto con rotazione
totale del busto e scalciata finale. Sennonché, nonostante l’ottima
tecnica dimostrata, si trattava pur sempre di un’anziana signora, che si
ritrovò col sedere sulle assi di rovere del pavimento e le gambe per
aria. Dopo pochi attimi di silenzio surreale, la vocina di Babbo fece
capolino: “.altro…che… karate im...pa.a.ra a cu..cirti le cal…ze ”.
Ancora qualche secondo di silenzio. Poi i due iniziarono a ridacchiare
piano e poi via via sempre più, arrivando alle lacrime e ai singhiozzi,
mentre i loro sguardi erano fissi sul piede destro della Befana: era là,
in alto, a osservare tutta la scena con il grande alluce rosa che faceva
capolino dal calzettone nero fumo rattoppato. Questo fu lo strano modo
in cui Babbo e Befana riscoprirono la loro amicizia, perduta tanti anni
prima. Quando entrambi si furono ricomposti, con la pancia che ancora
faceva male dal gran ridere e gli occhi lucidi, iniziarono a
chiacchierare come se niente fosse.
“Allora, stupido vecchio rimbambito, spiegami che cosa ci fai combinato
così nel tuo lettone piumoso…”.
“A…….ll.o.r.a ade..sso….t…..i.r.ac…co.n..to…..” aveva iniziato Babbo,
ma lei lo interruppe subito : “Per carità, smetti immediatamente! Con
questo ritmo, quando avrai finito di parlare avremo raggiunto lo stato
fossile….dunque, vediamo un po’… toh, scrivi qui dietro” propose dopo
aver dato una rapida occhiata in giro, e gli porse la lettera che si
trovava più in alto nella pila sulla scrivania di legno d’Alaska:
centinaia e centinaia di fogli scritti da centinaia e centinaia di
manine in tutto il pianeta. La lettera in questione era di tali Giuditta
e Vittorio Moccio da Punta Lettonia, due fratellini che desideravano
trovare sotto l’albero un paio di guantoni da boxe borchiati per menarsi
meglio. Come seconda opzione, avevano scelto degli stivali anfibi per
correre nelle pozzanghere e schizzare gli amici. “Cari ragazzi…” pensò
la Befana, e mise nella mano tremante di Babbo la penna d’anatra che
teneva sempre nel vano portaoggetti della scopa per firmare gli
autografi (non l’aveva mai usata) e lui, con enorme fatica, iniziò: “XVLMGJL”.
“Acc…per la saggina di mia nonna, dimenticavo che io non conosco la tua
grafia, Babbo. Da bambina marinavo la scuola quasi tutti i giorni per
andare a pescare le rane agli Stagnoni Putridi, così il Fioccolese non
l’ho imparato…”. Babbo Natale annuì e poi fece dei cenni e la sua nuova
vecchia amica gli si avvicinò e ancora una volta porse l’orecchio alle
sue labbra: ascoltò per qualche secondo le istruzioni e poi rapida come
una saetta si precipitò fuori dalla stanza. Si diresse nel garage sul
retro dove avrebbe trovato la Magica Slitta, già pronta e stracarica di
doni. Ciò che vide superò in bellezza il migliore dei suoi ricordi: la
sala tutta di legno in cui si trovava era grandissima e il soffitto così
alto che le travi da laggiù parevano stuzzicadenti. La cima della
montagna di regali sulla slitta parcheggiata là in mezzo quasi si
perdeva alla vista.
Come le era stato detto, cercò il pacco blu e azzurro senza fiocco che
fortunatamente era stato caricato tra i primi e che individuò senza
sforzo. Sennonché, nella fretta, la Befana lo estrasse dall’enorme pigna
di scatole e scatolette con la delicatezza di un elefante arrabbiato e
immediatamente percepì delle lievi vibrazioni che, dall’alto del cumulo,
si propagarono rapidamente alla base…eee.eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee….eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee……..
eeeeeee …..PATAPUMFETETETETETTTTTTTTOCTOCTICSCROOONFFFFF!!!!!
La Befana era sepolta. Non fece in tempo a dire “A I U T A T E UNA
POVERA VECCHIA” che una quantità imprecisata di braccini e manine si era
messa all’opera liberandola inmenchenonsidica dal peso dei regali.
“Piacere, Capo folletto Flock”, quando la cara vecchietta riuscì a
rimettersi in piedi le si presentò con una vigorosa stretta di manina un
nanetto in divisa a quadrettoni rossi e bretelle coordinate. Le spiegò
anche che la sua squadra era abituata a questo genere di incidenti, che
Babbo Natale veniva sommerso dai pacchi in media centododici volte
all’anno e che la miglior prestazione effettuata al pit stop della
Vigilia era stata di 4 primi e 27 secondi. Frastornata dalla valanga di
pacchi e dalla valanga di informazioni, la Befana tornò in casa reggendo
a fatica la scatola blu e azzurra senza fiocco. Babbo, intuendo
l’accaduto, fece finta di non notare il cappello a punta che non aveva
più la punta, l’occhio blu variegato verdino e lo strappo di entrambe le
calze all’altezza delle ginocchia. Però dovette per forza dirle della
fila di pacchetti che si era trascinata dietro, impigliati con i
nastrini colorati a ciò che rimaneva della gonna e al suo…
fondoschiena.
“D’accordo, ho avuto un piccolo incidente – si affrettò a dire la Befana
districando a fatica gonna e nastrini – ma adesso per tutte le calze
spaiate spiegami a che cosa ti serve ‘sto pacco…ACC.. PORC...” e
cominciò a imprecare quando si rese conto che un cucciolo meccanico di
cane mastino era uscito da una delle scatole che si era trascinata
dietro e le stava assaggiando una caviglia. “E’ caricato a molla,
resisti solo qualche altro secondo e poi smetterà”. Era la voce di
Babbo!
“Eh, sì, aspetta qualche secondo, Santa Claus delle mie ciabatte! ‘Sto
maledetto vuole arrivare fino all’osso... ”. Poi la mascella meccanica
si arrestò e le imprecazioni della befana anche. “Che mi prenda un colpo
secco! Com’è che adesso parli?????”.
Si girò e vide il suo amico che reggeva in mano davanti alla bocca una
specie di megamegafono dotato di fili che uscivano e rientravano da
tutte le parti. Tutt’intorno sul letto la carta azzurra e blu a
brandelli. “Neh che sono furbo? Mi sono ricordato del set da spia
spaziale del bimbo James Bondini, di New York City... I miei folletti
operai ci hanno lavorato un sacco, ma come vedi il risultato è ottimo!
Si tratta di un diffusore di onde sonore al plasma biribulinico che...
”.
“HO CAPITO MA SMETTILA – urlo di protesta – Già ho una caviglia gonfia e
tutto il resto, almeno risparmiami i dettagli!”. “Volevo solo aggiungere
– riprese Babbo – che questo aggeggio amplifica ogni genere di suono...
James potrà ascoltare le confessioni degli insetti, i bisbigli dei suoi
amici, i pettegolezzi delle maestre… Ma lo desidera tanto soprattutto
per ... rendere esagerate le sue puzzette! Comunque, grazie a lui ora mi
senti. Toh, mettiti anche gli auricolari”.
“Simpatico, questo James... - la Befana apprezzò mentre si infilava
nelle orecchie i due gommini spugnosi. Poi si mise comoda sulla
poltrona soffice di lana cotta ad ascoltare tutto ciò che era capitato a
Babbo: lui le parlò del penoso risveglio di quella mattina, del senso di
peso alla testa, allo stomaco, alle gambe, del mignolo sinistro, del
braccio destro, dello starnuto e della mosca ghiacciolina. “Se ho
capito bene, hai preso l’influenza”. La Befana aveva il dono della
sintesi.
“Che cosa? Ma io non la volevo, davvero, non ho chiesto a nessuno di
portarmela”, disse con grande convinzione il vecchio, e lei replicò:
“Che cosa stai dicendo? Guarda che nessuno la vorrebbe, l’influenza è
una malattia…”.
“AAAAAAAAAHHHHH, vuoi dire che sono malato?????? Ma io sono Babbo
Natale! Non mi posso ammalare, milioni di bambini mi aspettano, perché
proprio adesso? Perché proprio a me? Me disgraziato, poveretto, come
soffro, come sono triste… Oggi è la Vigilia, la Grande Notte mi aspetta,
come farò…”.
La stanza si riempì di sigh, sob, ueh ed etchì. La Befana gli offrì un
fazzoletto e aggiunse: “Come la fai lunga, neanche fossi Babbo Natale…
cioè, volevo dire, sì, è vero, sei Babbo Natale…. Sai cosa ti dico? I
pacchi, stanotte, li consegnerò io!”. Strabiliata, e anche
terrorizzata, dalle sue stesse parole, la Befana assunse immediatamente
dopo averle pronunciate una posizione da eroina medioevale: sguardo
fiero rivolto all’orizzonte, pugno sul fianco, un piede sullo sgabello,
la scopa poggiata a terra come una bandiera. Il cappello storto al posto
dell’elmo. “Ma come…, io sono il vero, l’unico Babbo – si sentì la sua
voce da sotto il fazzoletto, tra un soffiamento sbrodoloso e un
singhiozzo – in tanti anni sarebbe la prima volta…”. “Senti, amico mio -
era l’eroina a parlare – Ti fidi di me?”
Risposta: “Eeeeeeeehmmm……sì”.
Era fatta. La Befana avrebbe davvero consegnato i regali di Natale!
Provava un sentimento misto di orgoglio, paura e soddisfazione, voleva
assolutamente aiutare il suo vecchio amico e sapeva in cuor suo di avere
sempre desiderato quel momento. Sapeva anche che sarebbe stata dura,
moooolto dura.
Da quel momento, la giornata fu dedicata completamente alla
pianificazione della Grande Notte, con Babbo sdraiato nel lettone a dare
istruzioni col megamegafono, e la Befana agitatissima che prendeva
appunti, memorizzava, faceva migliaia di domande saltellando
nervosamente da un piede all’altro. Ci vollero sette ore e
quarantaquattro minuti.
“Adesso, amica mia, la cosa più importante”. La voce di Babbo si era
fatta serissima, aveva cambiato tono e scandiva le sillabe in modo
esagerato. Nei secondi che seguirono, l’atmosfera si fece carica di
tensione e la Befana non sapeva che cosa pensare, così disse:
“Perdincibaccoebaccone, amico, così mi spaventi! E che sarà mai! Vado,
scarico, torno. Et voilà!”. “Non essere sciocca – fu la gelida risposta
– Hai idea di quanti bambini dovrai cercare, quante famiglie
individuare, quanti camini sorvolare, da quanti cagnacci fuggire, quanti
allarmi disinserire? Eh? No, che non ce l’hai, te lo dico io!”. La
vecchia era allibita: “Oh Santo Cielo, Santa Claus! Io sono qui per
aiutarti, ma se la metti giù così spessa posso anche girare quel che
resta dei miei tacchi e andarmene via, sai? Perché adesso ti arrabbi?”
“Scusa, scusa e ancora scusa. Ma quello che sto per rivelare a te è un
segreto che si perde nella notte dei tempi… Se qualcun altro ne venisse
a conoscenza, sarebbe una CATASTROFE di dimensioni spaziali, un disastro
psicocosmico. Mi capisci?”
“A dire il vero… no, non ci ho capito un bel niente!”
“Ora mi spiegherò meglio: è chiaro che per consegnare tutta la roba che
hai visto sulla slitta (e dalla quale peraltro sei stata sepolta…)
occorre un bel po’ di tempo, giusto?”
“Giusto”.
“Bene. E ora dimmi: se sei stata attenta prima, considerando il numero
di pacchi da consegnare e il tempo medio di recapito per pacco…sapresti
dirmi quanto ti ci vorrebbe per portare a compimento la missione?”
“Dunque, cioè, non è che non ho studiato… ero anche attenta prima…
allora vediamo…forse a suo tempo ho marinato anche le ore di
matematica…sai… le rane… gli stagnoni….”
“Falla finita! Non sei capace di fare i conti, ecco cos’è! Ad ogni modo,
ho io la riposta: ti ci vorrebbero esattamente cinque anni, otto mesi,
quattro giorni e un’ora. Hai capito?”
“AAAAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHH! Ma sei PAZZO! Tra cinque anni
eccetera io potrei avere già un piede nella fossa! Non ce la farò mai.
Fatti aiutare da qualcun altro. Mi licenzio”. La Befana stava già
aprendo la porta per andarsene.
“Vieni qui, per favore, e ascoltami bene: anche tu, se non erro, usi un
trucco. O mi sbaglio? So bene che anche dolcetti, carbone e calzettoni
richiedono tempo per giungere a destinazione…”
“Ma è una cosa diversa! E poi tu come fai a conoscere la mia strategia
befanesca?”.
“Sarebbe meglio dire… la VOSTRA strategia, vero? Credi che le riunioni
settimanali di centinaia di vecchiette vestite di stracci a casa tua
possano passare inosservate? Per non parlare poi di tutte quelle scope
parcheggiate in divieto di sosta… comunque – e qui stendiamo un velo
pietoso - ora ragioniamo della MIA strategia babbesca. Va bene?”
“Sì, ho afferrato… e vedrò di fare più attenzione in futuro… Spara,
sono pronta”.
“Bene. Cominciamo. Hai notato prima, quando sei uscita per andare in
garage, che cosa c’è sul retro della mia casa?”.
“Vediamo… un bidone della spazzatura stracolmo di carte di cioccolato
Cronch, un motorino scassato, la cuccia di Peloso Biancone…”.
“E poi? Sforza le meningi e prova a visualizzare!”.
“Ci sono! Il canestro da basket dei folletti, mi arriva al ginocchio!”.
“Ma no, per carità… io intendevo un’altra cosa… qualcosa di anomalo, che
non c’entra niente con me”.
“I vecchi vestiti di carnevale?”.
“No, proprio non ci siamo. Nel mio giardinetto, vicino al muro, c’è una
piccola vite…”.
“E come puoi pretendere che io noti una piccola vite in mezzo all’erba?
Sono pure mezza ciecata, poi…”:
“Non hai capito! Si tratta di piccolo vigneto, di quelli che servono per
l’uva!”
“Per la saggina di mia prozia, tutto questo giro di parole per dirmi che
sei alcolizzato…Non me l’aspettavo proprio, Babbo!”.
“Ma quale alcolizzato! Mica ci faccio il vino! A me servono i grappoli
di uva fragola perché… fai attenzione, il segreto è questo: la notte
della Vigilia, faccio mangiare a ognuna delle mie renne un acino di uva
fragola candita, poi lo inghiotto io e… pof, partiamo via a razzo! In
men che non si dica, faccio il giro del pianeta e torno qui, da dove
sono partito.”.
“Non ci posso credere! Sai che la gente, io compresa, pensa che tu, per
portare i regali con comodo, usi una magia potente rendendo lunghissima
la Notte, o magari fermando il tempo del tutto, e invece… uva fragola
candita. Chi l’avrebbe mai detto!”.
“Proprio così. Perché credi che sia tanto difficile vedermi in azione?
Si dice in giro che io sia timido, ma la verità è che a quella velocità
renne, slitta e io stesso diventiamo pressoché invisibili! C’è un
gruppo di follette scelte che si occupa della vigna e che segue tutte le
fasi della lavorazione degli acini, fino alla glassatura. Ogni anno,
produciamo esattamente un grappolo e mezzo, per un totale di ventuno
acini. In questo modo, negli anni ho accumulato anche una piccola scorta
per le emergenze”.
“Ora ho capito. Un acino per renna, un acino a me e via, a fare per bene
tutte le cose che mi hai spiegato prima!”.
“Mi raccomando, custodisci gelosissimamente ciò che ti ho detto… chissà
che cosa si inventerebbero gli uomini se lo sapessero… vedo già tutta la
terra coltivata a vigneti, liti e guerre per l’ultimo grappolo della
stagione… gente schiantata contro gli alberi e i muri delle case…”.
“Ho capito, ho capito, stai tranquillo. Vado a fare un micro pisolino,
ci vediamo tra mezz’ora.”.
Quella fu la mezz’ora più lunga di tutta la sua vita: mentre la Befana
si riposava, Babbo fu assalito da mille dubbi, pensava che la sua amica
non ce l’avrebbe fatta, che aveva sbagliato a rivelarle il Segreto, che
avrebbe dovuto trovare lui stesso le energie per portare i doni, come
sempre… Eppure, dopo tutto quel rimuginare, ogni perplessità fu
spazzata via come una nuvoletta di fumo al vento nel momento in cui la
Befana ricomparve sulla soglia della camera: sembrava un fiorellino
fresco!
“Che mi prenda un colpo, sei ringiovanita di vent’anni!” esclamò suo
malgrado il vecchio mettendosi a sedere nel letto. Effettivamente ad
entrare in camera non era più la vecchietta storta storta di poco prima,
ma una bellissima donna con i soliti vestiti laceri e lo sguardo fiero
in mezzo a un viso freschissimo e solare. Pareva che avesse trovato
anche il tempo di farsi la tinta ai capelli.
“Tranquillo, pupo. E’ semplicemente l’effetto della mia spremuta
agrodolce al succo di castagnaccio. Ho avuto la ricetta dal dottor
Curaponfi la volta che caddi dalla scopa mentre sorvolavo il Vesuvio.
Ero letteralmente a pezzi, credimi. La spremuta ti tira un po’ su se
stai male. E se la bevi quando stai bene… come vedi ti rigenera! Tieni,
fatti un goccio anche tu!”
“Va bene, magari dopo.” Babbo appoggiò il bicchiere sul comodino, iniziò
a frugare con una manona nel folto della candida barba, ne estrasse una
piccolissima chiave d’oro e poi aprì il cassetto. Ne tirò fuori una
scatoletta di legno, la aprì con la chiavina e mise nella mani della
Befana quelle che sembravano piccole caramelle: “Ti ricordi, che non è
liquirizia, eh? Adesso vai, e fa’ quel che devi!”.
La Befana strinse gli acini nel pugno, trasse un bel respirone, e si
avviò. Con un piede già fuori della porta, si voltò un’ultima volta
verso il vecchio che la guardava speranzoso, gli fece l’occhiolino e
uscì.
Entrò nel garage, dove ritrovò la slitta e, questa volta, le quattro
renne già pronte a partire. Subito fece ciò che le aveva insegnato Babbo
e recitò a pieni polmoni la formula magica mentre offriva l’uva candita
ai suoi impazienti aiutanti:
“Un acino a Saetta, che lo mangi in fretta in fretta
un chicco a Codabianca, che di correr non si stanca,
ne do un altro a Cornaritte per schizzar sulle soffitte
al più veloce Zampalesta porgo l’acino che resta”.
Salì sulla slitta, prese le redini e iniziò a percepire uno scalpiccio
di zoccoli sempre più frenetico… ebbe un attimo di esitazione prima di
mettere in bocca l’ultimo acino. Si aspettava quasi che da qualche parte
sbucasse uno dei folletti a dirle che era stato tutto uno scherzo, e che
lei ci era cascata in pieno. Invece il candito toccò la sua lingua e….ZOT,
partiti!
Nel frattempo Babbo Natale, che ormai si era convinto di aver fatto la
cosa giusta, decise di godersi la nottata: bevve l’intruglio agrodolce e
si sentì subito un po’ meglio. Stava già per raggomitolarsi sotto il
piumone sofficioso quando qualcuno bussò alla porta. “Oh santa slitta,
ha già combinato qualche guaio” pensò, e davanti ai suoi occhi
visualizzò la Befana che inciampando aveva perso gli acini che erano
stati slappati via da Peloso Biancone… ma la porta si aprì ed entrarono
quelle che a tutta prima parevano proprio tre Befane. Erano le amiche
della sua amica, che le aveva spedite dal vecchio a sua insaputa per
accudirlo. Fecero tutto senza dire nemmeno una parola: incastrarono le
scope sotto il letto, aprirono la grande finestra che dava sulla
vallata, gli rimboccarono per bene le coperte e partirono col
baldacchino e tutto alla volta della casa della Befana.
Il viaggio nella notte fredda fu brevissimo e, oltrepassata un’altra
grande finestra, Babbo fu depositato a terra con ogni cautela. Il
poveretto era sbalordito ma non per la sorpresa, graditissima, piuttosto
per l’aspetto dell’appartamento in cui si trovava. Provate a immaginare
una stanza di Befana: ragnatele, pentole sudice, poltrone sfondate e
gattacci miagolanti dappertutto, vero? E invece no! Sembrava di stare in
un hotel a diciotto stelle, in un ambiente scintillante di pulito,
lucidi i pavimenti, dotato di comfort inimmaginabili. Babbo si accorse
subito ad esempio dell’impianto luci che si accendevano soffuse o decise
a seconda della necessità del momento; un televisore ultrapiatto a
schermo colossale copriva l’intera parete di fronte al letto e in quel
momento trasmetteva una televendita di pentole e calderoni di ghisa
antiusura. Quella vista gli ricordò qualcosa. Un piccolo forno a
microonde sul comodino aveva iniziato a trillare, indicando che la
camomilla mielata al suo interno era pronta. Chi l’avrebbe mai detto,
quella era la casa della Befana.
Quest’ultima, lontana ormai mille miglia dal suo confortevole nido, per
il momento se la stava cavando benissimo. Un decimo dei pacchi era già
arrivato a destinazione, con la velocità del fulmine la vecchietta
sceglieva i regali, si calava nei camini, ipnotizzava cagnetti abbaianti
e frugoli umani troppo curiosi, depositava doni sotto alberi illuminati
e vicino a caminetti accesi, risaliva sulla slitta e via di nuovo. Era
talmente brava da convincersi che avrebbe potuto continuare per sempre.
Ma non fu proprio così.
Stava sorvolando un’isola sperduta nell’oceano quando le renne furono
costrette a scartare vigorosamente a destra per evitare l’impatto con
uno stormo di gabbiani ciuffolotti: la Befana si ritrovò, tanto per
cambiare, col sedere per terra e guadagnò anche una decisa capocciata
contro il legno della slitta. Si rimise a sedere, eppure qualcosa le
diceva che il suo fondoschiena non era l’unico ad avere dei problemi.
Era come se avesse perso qualcosa di importante, ma il vento sulla
faccia per la folle velocità, il male per la botta e il freddo che ormai
le congelava anche i pensieri le impedirono di capire che cosa fosse.
Dopo pochi minuti comunque, si trovava già nel cielo di una grande
metropoli: quello fu per lei uno spettacolo indescrivibile, con le luci
dei grattacieli e delle insegne, le automobili che a quell’ora tarda
della notte ancora sfrecciavano sulle strade a formare dei
fantasmagorici serpentoni di luce… PATAPOOOOOOOM!!!!! Tutta presa ad
osservare quella meraviglia, frutto dell’ingegno umano, la Befana si era
quasi schiantata contro un aereo in fase di decollo. Slitta e aereo per
fortuna uscirono indenni dall’impatto, la vera tragedia fu un’altra: il
foglio con la lunghissima lista di nomi bimbi e indirizzi vicino al
numero di pacco corrispondente, era scivolata di mano alla poveretta per
volarsene lontano lontano; la vide volteggiare per un po’ nel buio della
notte, davanti al chiarore tondo della luna piena, poi più nulla.
L’unica sua salvezza, a quel punto, sarebbe stata l’intuito femminile:
potete ben immaginare quanto ne possieda la Befana dalle Scarpe Tutte
Rotte. Imperterrita proseguì e, in un modo o nell’altro, decise di
portare a termine la missione. “Casa dal tetto verde? Ci sta bene un
pacco rosa, naturalmente. Ecco fatto. Casa di legno con camino fumante?
Pacco rosso e giallo! Casa piccola? Regalo grande! Casa enorme? Tanti
pacchetti per tutti i bimbi che ci devono abitare!” e così via; chissà
quanti ne avrebbe azzeccati il befana-pensiero.
La vecchia ad un certo punto si ricordò di una raccomandazione che Babbo
le aveva fatto : “Non dimenticare il mio “Oh Oh Oh !”, ci tengo molto,
sai? Dovresti pronunciarlo facendo sobbalzare la pancia…”. Sì, come no!
La Befana di pancia non ne aveva affatto. Comunque si era esercitata a
lungo prima di partire, e ora si mise alla prova. Gonfiò i polmoni, aprì
la bocca in modo che le labbra formassero un tondo perfetto ed emise un
suono: “AOH EOH AOH”! Più che la voce di Babbo Natale, quello sembrava
un richiamo di uccello. Sfortunatamente per lei, un maschio di
Panzerotto Bigio in amore passava da quelle parti in quel momento: udito
il verso, le volò incontro a tutta birra e quando la raggiunse iniziò
una danza amorosa descrivendo cerchi e acrobazie intorno alla sua testa.
Non vedendo più nulla, la Befana perse l’equilibrio e, quando tentò di
scacciare l’innamorato con una manata, si sbilanciò del tutto e cadde
giù dalla slitta. E cadde, e cadde. La scopa volante questa volta non
c’era, Babbo le aveva categoricamente vietato di portarsela appresso.
Ciò che sentì per ultimo, fu un botto tremendo e subito una sensazione
di intrappolamento. Le renne, addestrate per ogni genere di recupero, si
gettarono in picchiata e la estrassero dal comignolo appena prima che
arrivasse il furgone rosso dei pompieri…
Tra un incidente e un pasticcio, la Befana completò il giro dei regali:
il primo raggio di sole faceva capolino all’orizzonte, quando appoggiò
l’ultimo pacco sotto all’albero. La Befana chiuse gli occhi e si
addormentò mentre cercava di preparare il discorso da fare a Babbo per
spiegargli come era andata … senza farsi uccidere da lui! Non immaginava
infatti, la poveretta, che cosa a sua volta Babbo fosse riuscito a
combinare in qualità di ospite. Così, quando le renne planarono con
dolcezza nel suo giardino, la Befana stravolta entrò in casa a occhi
bassi. Qualcosa fece “tonk” contro il suo piede, a tutta prima le sembrò
la pallina scorticata di Artiglio, il suo gattone siberiano. Invece no:
la guardò meglio e si accorse che si trattava… della testa della
preziosissima matrioska laccata regalata a sua bisbisbisnonna Tilde
nientepopodimeno che dallo Zar di tutte le Russie centocinquantadue anni
prima! Alzò lo sguardo più furibonda che mai per sgridare Babbo a più
non posso, ma ciò che vide la lasciò senza parole: Babbo Natale,
impietrito davanti a lei, vestito tutto di rosa. “Non dire niente. Ho
provato la tua lavasciugastiraeindossa, non ho resistito, si sono
mischiati i colori, che orrore, che vergogna, non uscirò mai più da qui.
E poi scusa, Artiglio la voleva tanto, quella testa… sempre meglio che
dargli la mia, no?”. “Ti sbagli di grosso, pancione! Dovevi dargli la
tua di testa, che tanto è vuota come una campana!!”. La Befana iniziò a
singhiozzare come una bambina, era così stanca e così triste, poveretta,
che Babbo le si avvicinò e l’abbracciò forte forte come non era mai
successo prima. Cercò di consolarla preparandole un the aromatizzato al
bergamotto, ma dovette offrirglielo direttamente dalla teiera, perché
tutte le tazze buone giacevano in frantumi dietro alla porta della
cucina: “Adesso ti spiego, volevo provare il tuo frullatore a neutrini
per farmi una spremuta di cachi quando ho schiacciato per sbaglio la
coda ad Artiglio che mi è saltato sulla spalla così sono andato a
sbattere contro la credenza…”. “Povera me! Basta, smetti, ti prego, abbi
pietà di una povera vecchia… che disastro… sigh, sob…”. “Tieni, soffia
il tuo nasone, amica mia. Sono avvilito, non ne ho fatta una giusta.
Giuro, ti ricomprerò tutto!”.
“Non mi posso nemmeno arrabbiare,… sapessi che cosa ho combinato io!”.
La Befana vuotò anche lei il sacco e il suo vecchio amico stette ad
ascoltarla un po’ trattenendosi dallo strangolarla, un po’ ridendo
divertito.
Le risate più grandi però le fecero insieme poco dopo, quando un vispo
folletto consegnò come d’abitudine il giornale della mattina. Che
titoloni! L’Eco della Vallata riportava in prima pagina: “Piovono pacchi
dal cielo: centosette ricoveri per trauma cranico”. “Grandi esplosioni
nella notte: camini come bombe”, “Trovato cane dalmata con quattro file
di denti”, “Ecco – urlò la Befana – per tutti i cavoli a merenda, ecco,
era la dentiera che ho perso nell’urto, mi sembrava…”. E ancora: “Raro
esemplare di Panzerotto Bigio salvato in extremis da un pescatore mentre
precipita inebetito dritto nel mare”; poi la stoccata finale: “Scambi di
doni in tutto il pianeta. Consegnato triciclo rosa allo scienziato di
fama mondiale De Cervellis”.
La Befana attendeva a occhi chiusi il pugno dritto sul naso. Babbo però,
tra una risata e l’altra… le diede un bacino sulla guancia! “Ma come?
Dopo ‘sto popò di macello che ho fatto, neppure ti arrabbi?”. Era
sinceramente stupefatta. “Di che cosa mai ti potrei rimproverare, amica
mia? Hai fatto tutto quello che potevi, per me. Del resto anche la tua
casa non ne è uscita benissimo… Non preoccuparti, i bambini mi
perdoneranno in fretta, sanno che tutti possono sbagliare. Perfino Babbo
Natale!”. Un abbraccio fortissimo sigillò l’inizio di quella nuova
giornata, che i due trascorsero insieme nella casa della Befana davanti
al megaschermo, a vedere “Bianco Natale” e a mangiare il pasticcio dolce
di funghi svariolati.
Quando fece sera, per Babbo fu ora di rientrare a casa. Salutò la
Befana, non prima di averla ringraziata ancora e di aver preso il
pacchettino di stagnola con una fetta di dolce per Peloso Biancone.
Frugò nella barba e poi disse: “ Tieni, questi sono per te e per le tue
amiche. Fatene buon uso. OH, OH, OH!!!”. La Befana teneva stretta nel
pugno una manciata d’uva fragola candita. |
A
CASA DI MATILDE
“Allora, mamma, posso scrivere la mia letterina? O è ancora
troppo presto?”. Matilde era molto felice che Dicembre, il suo mese
preferito, fosse già arrivato. Lei era una vera ghiottona, e quanto le
piaceva il Pandoro! Specie se scaldato in forno! Ci pensava da quando
aveva mangiato i primi mandarini della stagione, il cui profumo le
ricordava sempre i dolci di Natale.
Quest’anno, insieme alla mamma, aveva deciso di creare un bellissimo
Calendario dell’Avvento. Dal 1 al 24 Dicembre avrebbe aperto le sue
finestrine per aspettare il fatidico giorno con ancora più trepidazione.
Il progetto di Matilde, quest’anno, l’aveva molto impegnata. In un
grande e verde cartoncino aveva disegnato un abete con 24 palline
colorate e staccabili. Ogni giorno avrebbe scelto quella con il numero
corrispondente alla data e sarebbe iniziata la caccia al tesoro. Sì,
perché la mamma su quei cartoncini a forma di pallina avrebbe scritto un
indovinello che avrebbe portato Matilde alla scoperta di una piccola
sorpresa. Era entusiasta all’idea!
Un’altra cosa che a Matilde piaceva molto del Natale era scrivere la
letterina a Babbo Natale. Si preparava tutti gli anni con buste e fogli
pieni di stelline e brillantini. Fra un po’ avrebbe compiuto 8 anni,
quindi avrebbe chiesto una bicicletta, senza le piccole ruote che da
piccola le avevano dato tanta sicurezza, tutta rosa. Era il suo sogno!
Imparare su quella piccola era stato faticoso, ma da quando c’era
riuscita non aveva voluto più fermarsi. Così aveva iniziato a scrivere:
Caro Babbo Natale,
se non ti è di disturbo,
quest’anno ti chiederei una bicicletta nuova, da bambini grandi.
Io la vorrei rosa, con dei fiocchetti appesi ai manubri,
ma non posso chiedertelo perché la mamma dice che non va bene fare la
sfacciata.
Grazie e buon lavoro.
Mati
Matilde
Via delle Culle, 1
Mercoledì, giorno di mercato, avrebbe chiesto alla mamma di
andare alla posta a comprarle un francobollo per poi spedirla.
A CASA DI DUCCIO
“Allora, mamma, io glielo chiedo eh? Non è che tu e il babbo poi ci
ripensate?”. Duccio aveva aspettato questo periodo con trepidazione. Era
da molto tempo che chiedeva ai suoi genitori un cucciolo di cane, un
boxer per l’esattezza, ma loro avevano sempre detto di no perché lui era
troppo piccolo per prendersene cura. Ad Ottobre aveva compiuto 8 anni e
adesso, pensava, non c’erano più scuse. Avrebbe avuto il suo Gastone,
così l’avrebbe chiamato, e lui avrebbe provveduto a dargli da mangiare,
a fargli le carezze, insomma a non fargli mancare niente. Si era
innamorato di quella razza guardando un documentario alla televisione.
Dicevano che questi cani sono adatti a stare con i bambini, hanno
bisogno di coccole, e soprattutto non smetterebbero mai di giocare.
Bene, proprio quello che gli ci voleva. Lui non aveva molti amici, si
era da poco trasferito in questa città, così non si era legato ancora
bene a nessuno. Duccio aveva ritagliato un cartoncino rettangolare dalla
scatola dei suoi cereali preferiti e l’aveva trasformato in biglietto
per Babbo Natale (lui pensava che le letterine fossero cose da
femminucce!). Aveva scritto:
Babbo Natale, ho una
casa con tanto spazio fuori, sono un bambino ragionevolmente buono, ho
voglia di correre con un cane tutto mio, per favore puoi accontentarmi?
Duccio
Via del Colle,1
A CASA DI BABBO NATALE
A casa di Babbo Natale, Babbo sta leggendo le letterine dei
bambini. Quanto si diverte su quella sedia a dondolo! A lui piace molto
scoprire quanto sia fantasiosa la creatività di bambini e bambine. C’è
chi chiede una bambola, una sola, mi raccomando, che vada a fare
compagnia alle altre 10! C’è chi chiede per il proprio fratello, che
magari ha 15 anni, un trenino elettrico! C’è perfino chi chiede una
sorpresa, magari con le ruote, magari con il rimorchio, che serva a
caricare la terra! A Babbo Natale i bambini stanno proprio simpatici e
vorrebbe accontentarli sempre tutti.
Anche quest’anno i suoi aiutanti folletti hanno un gran daffare; da
questo Natale hanno deciso di organizzarsi diversamente. Smisteranno i
regali in base agli indirizzi dei bambini e non più per tipologia di
giocattoli, altrimenti quelle povere renne non fanno altro che andare su
e giù per il cielo! Così i folletti preparano per Babbo un elenco
dettagliato con i nomi delle strade in cui abitano i bambini. Ad
esempio:
Via dei Sassi 2 bambole, 1 palla, 1 zaino
Via degli Alberi 1 felpa, pennarelli
Via delle Foglie 1 trenino, 1 cappellino, 1 collanina
Ecc, ecc….
Babbo Natale si fida dei suoi aiutanti, così decide di non deluderli e
di affidarsi al loro nuovo Sistema di Smistamento Regali.
VIGILIA DI NATALE
Babbo Natale deve consegnare gli ultimi regali, poi andrà a riposarsi
perché quei camini sono sempre più stretti e lui è molto stanco per la
fatica che fa a passarci dentro. Controlla la lista:
Via delle Culle, 1 1 cane
Via del Colle, 1 1 bicicletta
“Meno male che ho i miei folletti ad aiutarmi! I nomi di queste due
strade si somigliano così tanto che sarebbe stato possibile
sbagliarsi!”, dice Babbo Natale, che pur essendo stanco, è ancora molto
attento e vigile.
E infatti succede qualcosa…
MATTINA DI NATALE
CASA DI MATILDE
Babbo, mamma e Matilde stanno scambiandosi i regali. Matilde sta
cercando con lo sguardo qualcosa che nella forma somigli ad una
bicicletta, ma ci sono pacchetti piccoli, medi e uno tondo, sembrerebbe
una grande cesta…ma…ma…sembra che si muova!! Matilde senza dire una
parola si lancia verso il regalo misterioso e lo scarta veloce come un
lampo. “Ah, un cane!”, urla la mamma. “Eppure i nonni non ci avevano
parlato di un cane!”, aveva risposto il babbo. “Che c’entrano i nonni,
babbo? I regali li porta Babbo Natale, anche se io non capisco, non
avevo chiesto un cane. E la mia bici dov’è?”, aveva commentato Matilde.
Il cucciolo di cane non era stato ad ascoltare quelle chiacchiere; era
saltato fuori dalla cesta scodinzolando e aveva iniziato ad annusare
piedi, regali e albero di Natale. Se non fosse stato per il tempismo del
babbo di Matilde, che lo ha accompagnato subito fuori, avrebbe perfino
fatto la pipì in soggiorno!
Non si poteva dire che Matilde fosse triste per quell’errore di Babbo
Natale, però un po’ delusa, sì.
CASA DI DUCCIO
Duccio si era svegliato alle 6 solo per andare a scartare i suoi regali.
A dire la verità aveva paura che Gastone, il suo nuovo cane, non avesse
aria a sufficienza per respirare incartato dentro ad un pacco, così si
era precipitato in soggiorno. Aveva cercato tutti i regali con il
biglietto “Per Duccio” e aveva iniziato a strappare la carta. Il libro
del suo investigatore preferito, il pallone della sua squadra del cuore,
una felpa nuova. E Gastone? E quel pacco così alto, laggiù, vicino al
camino, di chi era? Duccio era andato subito a controllare, ma lì sopra
non aveva visto scritto niente. “Mamma posso scartare? Di chi è? Che
cos’è?”. La mamma non aveva fatto in tempo a rispondere, Duccio si era
ormai avventato sul misterioso pacco. Ma che delusione! Una bicicletta!
E per giunta rosa! Una bicicletta da femmine! Ma che cosa era accaduto e
dov’era il suo regalo?
CASA DI BABBO NATALE
Babbo Natale dal 24 Dicembre fino ad oggi, vigilia della festa della sua
amica Befana, quindi 5 gennaio, si era riposato comodamente sull’amaca
del suo terrazzo. Anche i folletti dopo aver rimesso in ordine il loro
laboratorio avevano deciso di prendersi una meritata pausa dopo tanto
lavoro. A dire la verità, in vista della festa dell’Epifania, la Befana
aveva ricevuto tantissime richieste di dolciumi, lecca-lecca e
caramelle, e così aveva chiesto l’aiuto dei folletti che, sapeva,
avevano inventato un nuovo Sistema di Smistamento Regali. I folletti non
avevano potuto dire di no. Avevano ricercato i loro taccuini con la
suddivisione delle strade della città. Oh, oh! No, no, non poteva essere
vero!!! Come avevano fatto a sbagliarsi?!
“Babbo Natale, Babbo Natale! Via delle Culle, è del Colle, no, il Colle
delle Culle!”. Babbo Natale aveva sentito urlare i folletti, si era
svegliato e si era fatto raccontare tutto. Allora, le cose erano andate
così. Il regalo che avrebbe dovuto consegnare in Via delle Culle, una
bicicletta rosa, era stato consegnato in Via del Colle al posto di un
cucciolo di cane boxer, e viceversa. Babbo Natale, si sa, difficilmente
si arrabbia, ma deludere i bambini a lui proprio non piaceva così si era
messo a riflettere per trovare una soluzione. Bene, avrebbe approfittato
della festa della Befana per rimediare. Non c’era tempo da perdere,
doveva inviare ai due bambini a cui aveva scambiato i doni un
telegramma. Aveva mandato questo avviso:
Caro bambino o
bambina mi dispiace molto di aver sbagliato a recapitarvi i regali stop
Anche se è trascorso un po’ di tempo vorrei rimediare stop
Per la vigilia della Befana scenderò ancora nelle vostre case stop
Mi farò perdonare stop
Vostro Babbo Natale
CASA DI MATILDE
Matilde era rimasta stupita nel leggere quel telegramma. Anche babbo
Natale sbagliava, dunque. Già, ma adesso Otello, il suo cane, non voleva
mandarlo via…Non aveva più pensato alla bicicletta da quando aveva lui.
Erano stati sempre insieme, mattina e sera, e non voleva che adesso
qualcuno venisse a prenderlo. Come fare?
Ad un certo momento, tra una leccata di Otello sul mento, e una
grattatina alla sua pancia, le era venuta un’idea: avrebbe aspettato
Babbo Natale e gli avrebbe spiegato tutto. Sì, avrebbe fatto così.
E infatti, alla mezzanotte della vigilia della befana, Matilde si
svegliò, si mise seduta sul divano davanti al camino ed aspettò. Era
molto emozionata anche perché babbo e mamma le avevano raccontato che
nessun bambino aveva mai visto Babbo Natale, perché altrimenti la magia
sarebbe svanita.
Babbo Natale fu puntuale, era arrivato con una grossa cesta per
riprendersi, lui pensava, il cane, il suo Otello. Proprio mentre, girato
di spalle, stava ripulendosi i pantaloni dalla fuliggine, Matilde lo
chiamò.
“Ciao Babbo Natale, sono Matilde”. Babbo Natale non credeva alle proprie
orecchie. Una bambina a quell’ora ancora sveglia, che gli stava
parlando!
“Cosa ci fai, signorina, qui da sola?”.
“Stavo aspettando te, Babbo”, rispose Matilde.
“Io volevo dirti grazie, ma la bicicletta che ti avevo chiesto non mi
interessa più, adesso ho Otello, il mio cane, ed è il più bel regalo che
potessi ricevere. Non posso mandarlo indietro”.
“Ma io devo riprenderlo, appartiene ad un altro bambino. Adesso lui ha
la tua bici ed è triste perché non ha ricevuto il suo di regalo”, aveva
detto Babbo Natale. Matilde aveva insistito. “Io ho dei risparmi nel mio
salvadanaio, posso darteli, così tu gli compri qualcos’altro, va bene?”.
Babbo Natale non si era lasciato convincere. “Io ho promesso a lui come
a te che avrei rimediato all’errore…”.
Matilde stava quasi per mettersi a piangere, ma non poteva darsi per
vinta. Così si fece venire un’altra idea. “Senti Babbo, scrivo ai miei
genitori un biglietto. Portami con te a casa del bambino o della bambina
che ha la mia bicicletta. Spiego la situazione e oplà, la storia è
finita”. Babbo Natale non sapeva se dare ascolto al piano di quella
bambina così decisa a tenersi per sé il cane, ma poi decise di seguire
il suo suggerimento.
Via del Colle era davvero poco distante da Via delle Culle dove lei
abitava; Matilde capì che ci si sarebbe potuti sbagliare facilmente.
CASA DI DUCCIO
In casa tutti dormivano. Ah, è così che si aspetta il proprio regalo?,
pensò Matilde dentro di sé. Senza fare rumore cercò la camera e capì di
averla trovata, la stanza era di un maschio, quando si trovò di fronte
poster e adesivi di uomini-ragno e super-eroi vari attaccati alla porta.
Matilde si avvicinò con passi felpati al letto, aveva promesso a babbo
Natale che avrebbe raccontato tutto lei. “Ehi, bambino, sveglia.
Sveglia!!”. Qualcuno cominciò a muoversi nel letto a quel tono di voce
deciso. “Ciao, io sono Matilde, sono la bambina a cui Babbo Natale ha
regalato il tuo cane, cioè il cane che tu avevi chiesto. Ehi, mi stai a
sentire?”. Duccio si era messo a sedere sul letto e pensava di stare
dentro ad un sogno. Non credeva di aver capito bene: dunque, davanti a
lui c’era questa bambina che aveva ricevuto un cane per Natale, ma
questo cane, in realtà, era quello che lui aveva chiesto. Oh, oh! Adesso
ricordava tutto! Era la notte in cui Babbo Natale avrebbe dovuto
rimediare allo scambio dei doni, che sbadato! Come aveva potuto
dimenticarlo? Sì, ma questa bambina che a mezzanotte e mezza passata
stava quasi urlando in camera sua, perché non gli aveva riportato
Gastone? E la sua bici? Oh no! Non si ricordava neppure dove l’aveva
messa! “Senti - disse ancora Matilde – mi dispiace ma io non posso
restituirti Otello, adesso lui vuol stare con me”.
Otello? E chi è?, pensò Duccio, cominciando a credere che fosse il nome
buffo che questa bambina - ma come si chiamava? - avesse dato al suo
cane. “A proposito - continuò Matilde - la mia bici puoi
restituirmela?”. Adesso Duccio si era alzato dal letto. Stava
cominciando a girare intorno alla stanza, segno che stava iniziando a
spazientirsi.
“Senti, bambina…”.
“Matilde…”.
“Senti, Matilde, se sei qui per la tua bici io rivoglio il mio cane. Se
invece vuoi dirmi che ti sei affezionata a Gastone, ehm, Otello, e non
puoi più rinunciare a lui, bè, ti capisco perché avere un cane fa
proprio questo effetto. Beata te…”. Matilde era rimasta colpita dalle
parole un po’ sagge di questo bambino. Adesso doveva essere onesta anche
lei. “Come facciamo adesso? Io, cioè, te, volevo dire noi, come facciamo
a tenere tutti e due Otello? Non si può mica dividere?”.
Silenzio.
“Posso venire a trovarlo e stare con lui ogni tanto a casa tua”. Ecco,
Duccio aveva trovato il coraggio di dirlo, superando la sua timidezza. A
Matilde era sembrata l’idea più, …più fantastica del mondo! Lei non
avrebbe rinunciato al suo cane, lui non avrebbe rinunciato al suo cane,
in più questo bambino spettinato e in pigiama cominciava anche a starle
simpatico! Si salutarono scambiandosi numeri di telefono e indirizzi.
Scoprirono perfino di frequentare la stessa scuola, anche se in classi e
sezioni diverse.
Quanto era piccola quella città!
Nessuno dei due quella notte riuscì a dormire molto. Nei loro letti
pensavano che quel Natale aveva portato nelle loro case confusione e
scompiglio con la faccenda dei doni scambiati, ma adesso che Duccio e
Matilde si erano conosciuti, sarebbero diventati amici, se non altro per
Otello!
E l’amicizia per due bambini, è sempre un dono prezioso. |